giovedì 28 giugno 2012

Carnevale




La sala, adattata per l’occasione, era ingombra di tavolini ben apprestati di piatti, stoviglie e fiori. Un colpo d’occhio eccezionale dove, fra lo sfavillio delle luci, immote ed impeccabili spiccavano, nelle loro  divise di camicina bianca e rosso corpetto, le fanciulle della Scuola Alberghiera. Una per tavolo.
Al mio, la compagnia, piacevole e ciarliera, riuniva vecchie conoscenze con nuovi amici d’altri Clubs ed il menù ben piegato davanti a ciascuno di noi prometteva sottili tentazioni ai nostri palati, rotti ormai ad ogni sorta d’avventura.

Con siffatte premesse facemmo conoscenza con colei che sola era stata preposta alla nostra cura ed accudisse a noi, uomini e donne, lì riuniti nel “segno del leone” per una serata che, col pretesto del carnevale, sciogliesse i cordoni dei ben forniti borselli a favore di un “service” mondiale.
Era secca ed allampanata, il naso adunco ed il mento sfuggente. Povera di forme, corpetto e gonna le fluttuavano intorno di sgraziata sciattoneria, cui nulla avrebbe mai posto rimedio.
E la serata, finalmente ebbe inizio.

Dopo il tempestivo quanto gradito giro del sommelier, come ad un cenno d’un invisibile regista, le rosse fanciulle della citata scuola, tornarono in sala recando inossidabili vassoi.
Anche lei, la preposta, tornò a noi e nell’apprestarsi a servire il delicato antipasto (“sformato di golosità dell’orto” ovvero carote, sedano ed altre similari in amalgama d’uovo al vapore e senza sale) colpì violentemente al cranio un attonito ed occhialuto generale d’artiglieria in pensione, membro di non so più quale club, seduto all’angolo estremo del desco.
Benché certamente reduce di ben altri scontri, l’uomo s’accasciò dolorante, ma presto constatatasi l’assenza di sangue, nonché l’integrità del manufatto il cui bordo d’acciaio aveva resistito a tanto impatto e contate le porzioni tutte miracolosamente presenti nel piatto di portata nonostante la severa prova d’equilibrio, fra risa di circostanza e lionistici  sentimenti, si tornò a reclamare le golosità promesse dalla lista delle vivande.

Poscia i boccioli di rosa, sorta di ravioli di magro, punirono duramente la gola, ma forse sarebbe più corretto dire la manica destra del “vestito buono” di chi scrive, opportunamente gallonata di besciamella ammannita quale supplemento alla reiterata offerta di un bis, sfrontatamente accettato.
I molto buoni ravioli di melanzane fecero invece biblica conoscenza dell’omero, rivestito di morbida ed impeccabile alpaca blu, d’un noto otorinolaringoiatra.
Questi, giunto inopinatamente senza consorte, facea da cavaliere alla cinquenne mia figliola, presente alla serata poiché abitualmente affidata ad una tata, famosa - come il vigile urbano di buona memoria - per non esserci mai quando ne hai bisogno.
Ed infatti la sua cavalleria, congiunta alle materne cure, nonché alle mie vigili e paterne apprensioni, protessero il serico fiocco della piccolina dal trancio di salmone sgusciato dalla pinza di servizio, con guizzo degno d’altri tempi, quasi fosse ancora intero e voglioso a risalire gli scogli d’argentei fiumi.
Ma nulla si poté contro il fato nel cui imperscrutabile disegno stava un babà che, con buona pace dell’estro napoletano, era stato affogato  nello zabaione.

Serata memorabile quella che, nel “segno del leone” ci aveva riunito per un “service” mondiale: maschere, musica, balli ed ...emozioni, nel solco della più pura tradizione.
E poi si sa: ...a Carnevale ogni scherzo vale.

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