Era la festa del paese, una di
quelle che per fiere, mercati ed ambulanti vari, richiamano migliaia di persone
dal contado per decine di chilometri, sicché la tabaccheria sotto i portici
straripava di gente.
Pazientemente in fila giocatori e
sistemisti si sottoponevano alla lunga fila, rallentata dalle elaborate
operazioni di incollatura delle fascette di convalida sulle schedine (le
macchinette automatiche non erano ancora
state inventate) ed anche per la mano non esattamente ferma del buon gestore
che - come ricorderete - aveva superato abbondantemente le settanta primavere.
Fra questi c’era anche Roccomaria
e, quando finalmente giunse il suo turno ad alta voce, perché tutti potessero
sentire, si rivolse al tabaccaio:
- Maestro, a me metta una
fascetta buona, non di quelle che fa lei.
Il silenzio calò nell’angusto
locale fino a poco prima brulicante di vita.
Rocco, con aria complice ma
sempre ad alta voce, voltosi verso la coda dei paesani, continuò:
- Si, perché qui, il maestro,
mette le sue di fascette, incassa i soldi e non inoltra le giocate. In questa
ricevitoria, infatti, mai nessuno ha vinto qualcosa.
Poi rivolto direttamente a quello
che lo seguiva, un affarino piccolo dal viso rubizzo, e con tono minaccioso lo
interrogò:
- Lei, per esempio, ha mai vinto
qualcosa?
L’avventore, sovrastato da tanto
omone, anche se avesse stabilito il primato in fatto di scommesse fortunate, si
sarebbe ben guardato a contraddirlo.
- Come volevasi dimostrare!
Ed uscì.
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