Nel fitto della
nebbia serale che s’insinuava fin nelle pieghe delle cose, un’ombra appena
delineata muoveva sotto i portici mugolando.
Il piccolo tabaccaio spintosi
fuori dal suo banco nell’umido del porticato, cercava di capire chi o cosa,
uomo o animale, levasse siffatti lamenti, imbattendosi con grande sorpresa nel
“suo tenente”, che affannosamente continuava ad agitarsi in quelle poche
braccia di colonnato, neanche fosse stato una fiera in gabbia.
- Signor tenente, cosa le succede? - s’affrettò a chiedere l’esile
anziano - si sente bene? posso fare qualcosa per lei?
L’ufficiale, stretto nell’unico
cappotto color antracite scuro che possedeva, continuava ad andare avanti e
dietro senza posa, fissando il pugno della mano destra proteso avanti a sé come
serrasse qualcosa di prezioso.
- Signor
tenente, la prego, si fermi... - impetrò il tabaccaio premuroso.
- Agostino,
- rispose l’omone arrestandosi di botto - devo muovermi e sfogarmi, tanto sono
pieno di rabbia. Mi sposto avanti ed indietro, dal portone dell’androne vicino
alla sua porta, alla colonna là infondo, tentato come sono di imboccare quelle
scale, salire al primo piano e rompere la faccia a quell’imbecille di dentista
che mi ha tolto questo.
Così dicendo, ficco il pugno
sotto all’arrossato naso dell’anziano che, preso di sorpresa, fece un salto
all’indietro: sul grasso palmo della mano aperta spiccava in tutta la sua
lucentezza un sanissimo, grosso, robusto dente con delle radici da far invidia
ad una millenaria sequoia americana.
- Vede,
era forse l’unico dente sano che mi rimaneva in bocca e quel somaro me l’ha
tirato via al posto di quello marcio che da due settimane mi tortura.
I lamenti ripresero
più sonori che mai ed il vecchietto che non sapeva più cosa dire, cominciava a
maledire la curiosità che lo aveva messo in quella imbarazzante situazione: in
fondo anche il dentista era un suo affezionato cliente.
In quello giunse un’autovettura
fermandosi davanti al bar, ne uscirono chiassosamente tre giovani che dal
taglio dei capelli si capivano essere militari di leva ed infatti salutarono
senza esitazione:
- Buona
sera, signor tenente.
Ma non avevano chiuso ancora la
macchina che ecco sopraggiungere un azzurro pullman di linea e scenderne un
piccoletto col berretto d’autista il quale, con un pronunciato accento sardo,
prese subito ad inveire contro quei ragazzi:
- Mascalzoni,
l’ergastolo dovrebbero darvi, no la patente... .
Roccomaria infastidito ed
ubbidendo a quell’infallibile istinto che lo cacciava sistematicamente nei
guai, si ficcò l’amato dente in tasca e rivolto all’esagitato, si qualificò:
- Sono
un ufficiale del reggimento di questi giovani. Posso sapere cosa hanno f... .
La frase gli fu ricacciata in
gola da una potente, violentissima e soprattutto inaspettata testata sferratagli in piena faccia, quasi che il
piccolo autista si fosse trasformato in un ariete.
L’omone vacillò, arretrò di quel
tanto che lo spazio fattosi affollato per il rapido sopraggiungere dei soliti
curiosi, gli consentiva ed a sua volta caricò l’irascibile autista
percuotendolo con tutta la forza dei suoi centotrenta chili, forse più pensando
all’incompetente dentista ed al dente sano, che all’incauto suo assalitore sul
quale comunque continuava a riversare colpi senza pietà alcuna.
Dopo un po’ l’uomo riuscì a
sottrarsi e rifuggiatosi sul suo autobus, partì con gran stridore di gomme.
Nessuno aveva mai immaginato
Roccomaria nelle vesti di un violento e questi, che in effetti era un
bonaccione, con le vesti scomposte e circondato da tanti curiosi prendeva a
vergognarsi della sua impresa.
Il vecchio tabaccaio, lo accolse
nel retrobottega ove poté ricomporsi ed attendere che la folla dei perdigiorno
si diradasse.
Nel frattempo giunsero Willycow e
Pino, che - come era ovvio - sapeva già tutto:
- Pare
che la macchina abbia costretto il pullman ad una manovra brusca... .
- Ho
capito. Ma io volevo solo mettermi a disposizione e, se del caso, intervenire.
- Certo,
che per intervenire, sei intervenuto ... .
- Lasciami stare, Pino, che m’è pure passata
l’incazzatura contro il dentista. C’è
gente nata con la camicia a questo mondo.
Roccomaria non pensò più
all’incidente anche perché, col passare del tempo il mal di denti aveva ripreso
a torturarlo, ma quando quindici giorni dopo ricevette una raccomandata da uno
studio legale che gli concedeva dieci giorni per risarcire il piccolo autista
sardo, prese carta e penna e spedì la seguente lapidaria risposta:
“Egregio avvocato, convengo con
la sua richiesta alla quale non intendo frapporre opposizione.
Il milione richiestomi a titolo
di risarcimento è a disposizione del signor Gavino Firinu presso la mia
abitazione. Rimango in attesa d’una visita dell’interessato.”
La lettera non ebbe mai un
seguito.
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