mercoledì 27 giugno 2012

Il Professore


Mai i colleghi di Calotta avevano atteso con altrettanta impazienza un subalterno come da quando presero a pregustare i fiumi di champagne che il telegramma, di rito per i nuovi assegnati,# aveva preconizzato nel suo testo:
“La verità è che io, sopra ogni altri, intendomi invero onorato per l’alta elevazione conferitami, allorché il fato mi volle servitor di codesto onusto Stendardo, cui anelo mostrar valore e sottomissione. Firmato Sottotenente Erminio Chiavis.”
Peraltro il perentorio appunto in rosso, con tanto di incisivo punto interrogativo,”Al Capocalotta?”, col quale il Comandante aveva trasmesso il giallo foglietto al Circolo Ufficiale, non lasciava dubbi sul tipo di accoglienza che dovevasi riservare  a questo pivello che pensava di prendersi giuoco degli ufficiali del Reggimento.

- Soldato, son io colui che, nuovo assegnato, giunge;  pregoti annunciarmi all’Ufficiale di Picchetto.
Il cavalleggero Esposito non aveva capito granché, ma con l’istinto sicuro di un napoletano alla vigilia del congedo, lo aveva fatto entrare pensando fra sé:
- Chist’ è scemo.
Il neo subalterno venne accompagnato da altri due sottotenenti dall’Aiutante Maggiore.
Il piccolo ufficio sembrò ancora più angusto dopo che il giovane Chiavis ebbe a presentarsi:
- Signore, troppo attesi di giungere al suo cospetto...
- Boia di un mondo ladro, questo mi prende per ... i fondi!
- Tenente, col suo permesso, Ella acconcia parole che mal  mi si attagliano.
I subalterni portarono via il giovane per evitargli traumatici infortuni:
- Ehi tu, ci fai o ci sei? Il Colonnello é già fuori dalla grazia di dio per quel telegramma e tu ti metti a fare il fesso anche con l’Aiutante Maggiore...
- Vivo turbamento suscita in me un siffatto... - iniziò Chiavis, ma una mano gli tappò la bocca  e quella sera stessa fu convocato il Consiglio di Calotta.

Presieduti dal Capocalotta, erano presenti i tre tenenti più anziani ed il Capocornetta cui spettava l’ingrato compito di prendere le parti del nuovo assegnato. Cinque in tutto, che dovevano capire cosa passasse per la testa di quel matto e, soprattutto, trovare il sistema di far digerire il telegramma al Comandante.
Venne fatto entrare Chiavis che, invitato a giustificare il proprio operato, così esordì:
- Signori, subordinazione m’impone d’essere a Voi soggetto, ma eziandio m’urge comprendere quali sentimenti vi muovono, laonde possa io trarre oneste conclusioni.
Gli ufficiali guardavano fra l’incredulo e l’affascinato il giovane collega, piccolo nella figura, dall’incipiente pancetta benché non dimostrasse più che venticinque anni ed il viso  paffutello cui non bastava l’anacronistico pizzetto a camuffarne l’eccessiva rotondità.
Ed arrivarono alla conclusione che si trovavano di fronte ad uno scherzo di natura, ad un giovane che allo spirare del ventesimo secolo parlava e scriveva come un professore dell’ottocento.
E “il professore” lo soprannominarono benché avesse solo il diploma di scuole magistrali.

Fu più dura per il Colonnello convincere il Comandante della Divisione che un giorno, al Circolo ufficiali, individuando in Chiavis il quarto per una democratica partita di tressette, si sentì apostrofare:
- Signore, sono del tutto inuso alla manipolazione delle carte.

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