Mai i colleghi di
Calotta avevano atteso con altrettanta impazienza un subalterno come da quando
presero a pregustare i fiumi di champagne che il telegramma, di rito per i nuovi
assegnati,# aveva preconizzato nel suo testo:
“La verità è che io,
sopra ogni altri, intendomi invero onorato per l’alta elevazione conferitami,
allorché il fato mi volle servitor di codesto onusto Stendardo, cui anelo
mostrar valore e sottomissione. Firmato Sottotenente Erminio Chiavis.”
Peraltro il
perentorio appunto in rosso, con tanto di incisivo punto interrogativo,”Al
Capocalotta?”, col quale il Comandante aveva trasmesso il giallo foglietto
al Circolo Ufficiale, non lasciava dubbi sul tipo di accoglienza che dovevasi
riservare a questo pivello che pensava
di prendersi giuoco degli ufficiali del Reggimento.
- Soldato, son io colui che, nuovo assegnato,
giunge; pregoti annunciarmi
all’Ufficiale di Picchetto.
Il cavalleggero
Esposito non aveva capito granché, ma con l’istinto sicuro di un napoletano
alla vigilia del congedo, lo aveva fatto entrare pensando fra sé:
- Chist’ è scemo.
Il neo subalterno
venne accompagnato da altri due sottotenenti dall’Aiutante Maggiore.
Il piccolo ufficio
sembrò ancora più angusto dopo che il giovane Chiavis ebbe a presentarsi:
- Signore, troppo
attesi di giungere al suo cospetto...
- Boia di un mondo
ladro, questo mi prende per ... i fondi!
- Tenente, col suo
permesso, Ella acconcia parole che mal
mi si attagliano.
I subalterni
portarono via il giovane per evitargli traumatici infortuni:
- Ehi tu, ci fai o ci
sei? Il Colonnello é già fuori dalla grazia di dio per quel telegramma e tu ti
metti a fare il fesso anche con l’Aiutante Maggiore...
- Vivo turbamento
suscita in me un siffatto... - iniziò Chiavis, ma una mano gli tappò la
bocca e quella sera stessa fu convocato
il Consiglio di Calotta.
Presieduti dal
Capocalotta, erano presenti i tre tenenti più anziani ed il Capocornetta cui
spettava l’ingrato compito di prendere le parti del nuovo assegnato. Cinque in
tutto, che dovevano capire cosa passasse per la testa di quel matto e,
soprattutto, trovare il sistema di far digerire il telegramma al Comandante.
Venne fatto entrare
Chiavis che, invitato a giustificare il proprio operato, così esordì:
- Signori,
subordinazione m’impone d’essere a Voi soggetto, ma eziandio m’urge comprendere
quali sentimenti vi muovono, laonde possa io trarre oneste conclusioni.
Gli ufficiali
guardavano fra l’incredulo e l’affascinato il giovane collega, piccolo nella
figura, dall’incipiente pancetta benché non dimostrasse più che venticinque
anni ed il viso paffutello cui non
bastava l’anacronistico pizzetto a camuffarne l’eccessiva rotondità.
Ed arrivarono alla
conclusione che si trovavano di fronte ad uno scherzo di natura, ad un giovane
che allo spirare del ventesimo secolo parlava e scriveva come un professore
dell’ottocento.
E “il professore” lo
soprannominarono benché avesse solo il diploma di scuole magistrali.
Fu più dura per il
Colonnello convincere il Comandante della Divisione che un giorno, al Circolo
ufficiali, individuando in Chiavis il quarto per una democratica partita di
tressette, si sentì apostrofare:
- Signore, sono del tutto inuso alla manipolazione
delle carte.
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