Benché prediligesse
il nostro, egli era reduce di almeno tre Reggimenti.
Già effettivo nel
‘40 ai Dragoni piemontesi, mentre questi
caricavano le tradotte per il fronte, egli veniva ricoverato all’ospedale
militare di Torino.
Passato quindi ai
gialli cavalleggeri, finiva all’ospedale di Alessandria giusto quando quelli
s’accingevano a raggiungere l’Albania. Riassegnato, infine, al nostro
reggimento in ricostituzione in quei giorni, allorché quest’ultimo fu pronto a
raggiungere la Russia ,
l’aspirante eroe finì provvidenzialmente in un caldo e confortevole letto di
non so più quale nosocomio milanese a rimpiangere l’ennesima occasione mancata.
Così, tra un ricovero
ed una riassegnazione la guerra ebbe a terminare, ma Lui rimase fedele all’Arma
e, soprattutto, all’Istituzione militare che tuttavia gli si dimostrò - a suo
dire - ingrata perché non volle riconoscergli ai fini pensionistici gli anni
d’abbuono dati per legge a tutti gli ex
combattenti.
Uomo evidentemente
poco incline a conservare rancore, continuò ad esser presente in tutte le
ricorrenze ufficiali del Reggimento, soprattutto quando - al termine della
cerimonia s’aveva agio di godere del pranzo di Corpo o del rinfresco ufficiale.
Costantemente in
prima fila, con la “bustina” ben
calzata sulla fronte, era divenuto l’incubo dei Comandanti e degli ufficiali
anziani, ai quali aveva sempre qualcosa da eccepire, criticare o suggerire.
Lui, infatti, reduce di cotanti reggimenti poteva meglio di chiunque altro
correggere le formazioni, eccepire sulla corretta posizione della sciabola da
parata o suggerire “tradizionali” modi di fare.
Col tempo fu
necessario fare ricorso ad un servizio apposito che lo tenesse lontano dai
detti ufficiali, rovinando loro la festa e la giornata ai sottoposti sui quali,
inevitabilmente finiva per sfogarsi il malumore conseguente a quell’incontro
ravvicinato, sicché Roccomaria alla fine ebbe ad appioppargli alle costole il
“Cesso di Calotta” col precipuo compito di sorbirsene in esclusiva la compagnia.
Nacque, pertanto,
l’improbabile leggenda immancabilmente propinata quale giustificazione al
malcapitato giovane subalterno, secondo la quale l’anziano personaggio altri
non era che il “Consule Airone” che
aveva guidato i nostri valorosi cavalleggeri nella campagna contro i Galli
(Senoni, naturalmente), guadagnando al Reggimento gloria ed onore.
Ormai avanti nell’età
ed alquanto svanito, andava curato con tutta quella dovuta attenzione che i suoi
trascorsi reclamavano.
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