venerdì 29 giugno 2012

Insieme in una domenica d'agosto



La signora finalmente era giunta al Posto di controllo ove il Comandante del distaccamento militare l’attendeva impaziente.
Lui, l’ufficiale, era arrivato ai primi d’agosto col suo reparto in quel poligono a nord di Roma e vi aveva impiantato la base per le Unità del Corpo d’Armata che già vi affluivano per le esercitazioni a fuoco.
Oggi, però, domenica - come d’accordo con le popolazioni locali - i cannoni dei carri tacevano, sicché aveva potuto fissare quell’appuntamento proprio lì, all’ingresso di quel suo provvisorio comando, immaginando una giornata speciale.
Sotto lo sguardo professionalmente impassibile del personale di guardia i due s’erano scambiati un lungo abbraccio, poi - quasi senza una parola - s’erano allontanati verso l’autovettura di lei ed avevano preso la strada del mare.

Da un’infinità di tempo l’ufficiale aveva desiderato di stare solo con lei, ché quindici anni e centinaia di chilometri separavano le loro vite. Certo non mancavano d’incontrarsi, quelle due o tre volte l’anno, ma a pensarci bene, forse, non era più capitato di rimanere soli dai tempi in cui lui frequentava il liceo.
Poi era venuto il militare che l’aveva condotto al Nord, quindi la carriera, il matrimonio e la nascita dei figli, avvenimenti ai quali lei aveva sempre preso parte, direttamente o indirettamente, provando di volta in volta emozioni e sentimenti diversi, ma per quelle strane cose naturali della vita, non c’era più stata un’occasione in cui si fossero ritrovati soli.

L’uomo arrestò l’autovettura sull’ampio viale che costeggiava la pineta. La strada appariva deserta, soltanto le voci di alcuni piccoli che si rincorrevano, poco distante, ai primi tepori di un sole stemperato dagli alberi d’alto fusto.
I due presero a camminare a piedi, l’uno accanto all’altra: lei chiedeva, lui rispondeva. Poi lui voleva sapere di lei e la donna si scherniva, quasi fosse più importante compenetrare la vita dell’altro. Avevano molto da dirsi e lo facevano anche senza parlarsi.

Di tanto in tanto la campana della chiesetta, dal fondo del viale, ricordava che era domenica, il giorno del Signore: “Vorrei andare a Messa… - Lei era religiosa e praticante - … ed in verità non farebbe male neanche a te.”
Lui era religioso, ma di quella religiosità naturale, non rivelata: “ Ti accompagno volentieri … .”
Nell’odore acre dell’incenso, tra i banchi allineati gremiti d’ogni età, ognuno corse per i suoi pensieri.
Lei certo pregava; lui godeva  semplicemente di starle accanto e la sua mente andava ai tempi passati, ad antiche tenerezze, ad intime complicità perse nella nebbia del tempo e che mai più sarebbero tornate.

Accompagnata dal festoso scampanio, la folla dei fedeli, sciamando, quasi li trascinò all’aperto ed essi, tornati alla luce del sole, con passo lento si lasciarono guidare dal profumo salino, fino al mare.
Qui, l’aria gioiosa risuonava delle voci dei bagnanti, dei richiami di madri agli irrequieti ragazzini, di spensierate risate di giovani beati delle reciproche fattezze, del tormentone musicale estivo che tutto sovrastava col suo ritmo pseudosudamericano.

Più in là, isolato dal frastuono giocoso, a ridosso di un’improvvisata rimessa per imbarcazioni di piccolo cabotaggio, un ristorantino che ispirava. Così, tra una facezia ed una battuta del simpatico proprietario, nel discreto di una linda saletta refrigerata tutta fenestrata sul mare, i due presero un raffinato pranzo a base di frutti di mare e crostacei accompagnati da un generoso bianco di Sicilia la cui fragranza li rimandava a vent’anni prima quando, ignari di ciò che il futuro loro serbava, vivevano insieme e felici in quell’isola ormai lontana e da tanto creduta dimenticata.
Come sul ponte d’una nave dei sogni, spersi nei colori del cielo e del mare che lontano sembrano confondersi nella luminosità di quella splendida giornata, coscientemente ignari di quanto li circondava, entrambi godevano dell’imprevista occasione che li aveva fatti così ritrovare.
Il loro discorrere, fluido e naturale, non s’era mai interrotto neppure durante i lunghi silenzi nei quali talvolta sembravano perdersi. Forse mai come in quel giorno s’erano sentiti un’anima sola ed avevano preso cognizione della profonda tenerezza dei sentimenti che li univano.

Tornati all’aperto, nel sole fattosi opprimente, la signora cominciava ad accusare la stanchezza.
L’ufficiale guidava sicuro, superando rapidamente i surriscaldati rettifili ormai quasi deserti: “Ti porto da me. Lì potrai distenderti un po’… “.
Il soldato di leva di guardia all’ingresso del campo sollevò, non senza una qualche curiosità, la sbarra bianca e rossa che lo separava dal mondo dei sui affetti lontani: “Beato lui - pensò con una punta d’invidia - che può portare dentro chi gli pare…”.

L’alloggio dell’ufficiale, spoglio e disadorno, conteneva solo l’essenziale: un lettino, un comodino, una piccola scrivania ed una sedia accostata, un basso armadio a due ante contro una parete: “di qua c’è la doccia, se vuoi rinfrescarti”.
Poi le posò un delicato bacio sulla guancia ed uscì nel caldo pomeridiano.
La donna, rimasta sola, dal centro della stanza disadorna dapprima osservò ogni cosa con attenzione girando lentamente lo sguardo sulle bianche pareti e sulle misere suppellettili, quindi aprì l’armadio scorrendo teneramente la mano sulle policrome uniformi e curiosò distrattamente nei fogli sulla scrivania, poi prese a togliersi di dosso i vestiti che ripose ordinatamente su una gruccia. Passò in bagno, usò lo spazzolino dell’uomo e, dopo essersi sommariamente rinfrescata, tornò in camera coricandosi con naturalezza nel lettino e coprendosi fino al mento col lenzuolo.

Nell’assolato cortile dell’accantonamento non si notava anima viva; perfino gli uccelli che popolavano a centinaia i pini marittimi tutt’attorno, sembravano scomparsi quasi fossero stati inghiottiti dall’afa di quel primo pomeriggio. Le unità in addestramento erano state messe in libertà dai rispettivi comandanti che, certamente, non avevano faticato a ritrovare buona parte dei loro uomini su quella splendida spiaggia visitata poche ore prima.
L’ufficiale si avviò, lentamente per non sudare, verso il corpo di guardia scorgendo l’accaldato sottufficiale d’ispezione seduto all’ombra d’un pino.
Accucciato ai suoi piedi il grosso bastardo rizzò le orecchie, richiamandone l’attenzione:
“Comandi, signor maggiore!” - esclamò subito assumendo la corretta posizione d’attenti. Era meglio non rilassarsi mai con quello lì, diceva fra sé, chiedendosi al tempo cosa volesse ora da lui.
“E’ successo qualcosa durante la mia assenza?”
“Assolutamente niente, signor maggiore, nessuna novità da riferire”.
L’ufficiale si diresse verso il suo comando.

Insaccato nella scomoda poltroncina dietro la scrivania del suo ufficio, slacciò la cravatta ed un paio di bottoni dell’uniforme in cerca di quel po’ di sollievo da quell’afa che il cigolante ventilatore sembrava aumentare.
Col pensiero tornò alla donna nel suo alloggio e, preso da nuova tenerezza, chiuse gli occhi ed allargò i grigi baffi in un accenno di sorriso, lasciandosi scivolare in un sonnellino ristoratore.

Ora gli uccelli avevano ripreso a stridere, con quella litigiosa intensità di sempre, traendolo  gradualmente dal profondo vuoto nel quale, caldo e digestione, l’avevano fatto sprofondare per quasi un’ora. Alzatosi, si ricompose: allacciò il colletto, strinse la cravatta, passò due dita lungo la piega dei pantaloni e s’avviò deciso verso il suo alloggio.
Senza bussare, aprì delicatamente la porta avvertendo dall’interno il ritmo d’un respiro leggero e regolare. Entrò ugualmente e, senza far rumore, con infinita attenzione avvicinò la sedia sedendosi  a fianco al letto nel quale la signora, girata sul fianco destro, continuava a riposare rilassata e serena.

La sua mente tornò ad altre veglie: si rivide adolescente costretto a letto da un’inspiegabile febbricola e lei lì, seduta quasi nella sua stessa posizione, lo sguardo colmo d’apprensione. Poi, come quasi sempre nei ragazzi, ogni cosa s’era risolta e lui era tornato a scuola dove, lei vedova, lo manteneva con sacrificio, poiché in quell’unico figlio aveva riposto ogni speranza.
Per lui aveva sognato una fulgida carriera di medico o di magistrato, ma quello - seguendo le orme del padre - alla fine aveva intrapreso la carriera militare.

Gli occhi della donna ora avevano preso a muoversi sotto le palpebre chiuse; certo sognava, chissà cosa.
Le prese la mano di quel braccio scoperto: aveva sempre dormito con un braccio fuori dalle coperte e lui, fin da ragazzo, s’era sempre chiesto come non prendesse freddo in quella posizione.
L’anulare inanellato con la doppia fede, all’uso vedovile d’una volta, gli appariva leggermente gonfio. Sapeva che da qualche tempo aveva preso a patire di qualche acciacco, ma solo adesso si rendeva conto di quanto la cosa lo angosciasse. Il servizio lo tratteneva al Nord e lei, troppo attaccata alla sua casa ed alle sue radici, ostinatamente rifiutava di trasferirsi in una terra a lei estranea per clima e costumi della gente. Troppo avanti nell’età per ricominciare, alle insistenze del figlio opponeva sempre la stessa frase: “Ma si, ma stai tranquillo, io sto bene … .”

Tutto preso da siffatti foschi pensieri, non s’era accorto che la madre aveva aperto gli occhi:
“E’ tanto che sei lì?”
“No, pochi minuti, ma mi piaceva stare qui ad osservarti.”
“S’è fatto tardi. Ho tanta strada da fare…”.
“Certo. Vado a controllare che la macchina sia in ordine. Tu fai pure con comodo.”
La signora partì da lì a poco e l’ufficiale l’accompagnò con lo sguardo, finché la vettura non scomparve dietro la polverosa curva.

Passarono pochi anni e, come aveva presagito quel giorno mentre lei sognava chissà che nel suo lettino di guarnigione, non fu lì quando ebbe bisogno e non le tenne la mano nel momento del fatal trapasso.
Il tempo non sarebbe mai riuscito a lenire quel rimorso, reso ancora più struggente dal tenero ricordo di quell’unica, assolata domenica d’agosto.

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