giovedì 28 giugno 2012

L'Assalto alla mensa


Rientrato Roccomaria da un noto Centro d’addestramento d’oltremare, ove periodicamente tutti s’andava per esercitazioni, mostrò d’aver rimpinguato il carniere di storie che, da lui elaborate, costituivano motivo di piacevole intrattenimento, magari davanti al fuoco scoppiettante nel vecchio camino di sassi di fiume del Circolo ufficiali.

- Dovete sapere, amici miei, che in questi quaranta giorni ne ho viste di tutti i colori, ma la più incredibile è, certamente, quella che è successa un giorno al vettovagliamento.
Si, caro Pino, proprio al vettovagliamento. Ti ricordi del capitano Cornetta? Si quello di sussistenza che fa l’ufficiale al vettovagliamento.
Ebbene, dovete sapere che questi aveva attuato un piano perfetto per fare bella figura coi superiori del suo Corpo : con la metà delle razioni dava da mangiare al doppio della forza, realizzando quelle economie di bilancio tanto care ai nostri Servizi, a partire proprio dalla Sussistenza.
Un giorno, tuttavia, mal gli e ne incolse.

Precedentemente c’era stato l’ormai solito incidente che, quotidianamente e puntualmente si verificava appena 20 minuti dopo l’apertura del refettorio: i soldati ultimi del turno avevano appreso che tutto era finito.
Alle loro proteste, s’era presentata la rotonda figura dell’ufficiale predetto il quale, dall’alto del suo grado aveva iniziato a rintuzzare le contestazioni:
- a te ti ho visto entrare prima, credete d’esser furbi a fare il doppio giro, ‘cca nisciuno  é fesso!”
Al povero  ufficiale di servizio, invece, era stata riservata la classica minaccia: “... se insiste la schiaffo dentro come un fuso!”
Così ai malcapitati non era restato che il ricorso al panino dello spaccio.

Ma non s’erano ancora allontanati del tutto quelli che, preceduti dalle note della solita “bella gigogì”, ecco arrivare al passo di corsa un’intera compagnia di bersaglieri impolverati ed affamati, reduci dall’inseguimento in poligono dei soliti carri armati che, come vuole la prassi, all’approssimarsi d’un bersagliere sembrano mettere le ali ai cingoli, in una sorta di sfida “a chi arriva primo” sulla linea degli obiettivi.
Il capitano Cornetta subodorò subito il pericolo: nessuna minaccia avrebbe fermato quell’orda famelica, sicché diede ordine di sbarrare le vie d’accesso a refettorio, cucine e magazzini, chiudendo quelle porte che lui stesso, con prudente preveggenza, aveva voluto robuste e rigorosamente in ferro.
I bersaglieri fragorosamente s’arrestarono col rituale sbattimento d’anfibi sull’asfalto che, alle orecchie del preoccupato Cornetta, suonò come un’incombente minaccia fisica, e pazientemente - si fa per dire - si posero ad aspettare.
Vana è l’attesa di chi spera nella giusta ricompensa, quando questa è nelle mani d’un carrierista affamatore'.

Il mugugno montava col passare dei minuti finché, edotti sulla situazione da uno sparuto e, come loro, affamato plotone di cavalleggeri che dal primo mattino s’erano colà spinti in esplorazione tattica, avevano accertato la “natura” della posizione e, come vuole la libretta, l’atteggiamento del nemico, ordirono un elaborato, quanto efficace, piano d’attacco.
Il Corpo dei bersaglieri, come tutti sanno, è formato da truppe scelte addestrate all’attacco frontale e questo, in sintesi, fu il piano: abbattimento delle porte, prosecuzione dello sforzo in profondità (magazzini viveri), sfruttamento del successo con l’ausilio della cavalleria,  ovverosia distribuzione totale dei viveri fino al completo esaurimento delle scorte.
Ma il Cornetta, che vedeva tosto minacciati anni di sacrifici e con essi la sospirata fulgida carriera che avrebbe dovuto condurlo ad imperare su megagalattici magazzini viveri pieni d’ogni ben di dio, non si perse d’animo e, radunate le sue truppe (cucinieri, lavapiatti, refettoristi e magazzinieri d’ogni sorta ed estrazione), e postele agli ordini dei i suoi scherani di fiducia, i marescialli Puddu e De Muras, diede loro consegna di respingere gli assalitori e di battersi ad oltranza.

Lo scontro fu incredibilmente duro: ai bersaglieri che s’attaccavano alle grate di protezione con le nude mani ed i denti, s’opponevano gli assediati a colpi di mestoli e ramaioli su nocche e gengive; ai cavalleggeri che con manovra avvolgente s’erano presentati sul fianco nel tentativo di svellere gli infissi, s’erano riversati addosso fiumi di lurida schiuma proveniente dalle lavastoviglie, prosciugate per la bisogna.
Gli attaccanti reiteravano gli assalti con stoica furia e lancio d’ogni sorta d’oggetti, intercettati con incredibile destrezza coi coperchi delle pentole ed i tegami, usati a mo’ di racchetta da tennis.
All’oscillar pericoloso di quelle novelle Porte Scee, nelle quali il capo degli assediati aveva fondato tutta la propria sicurezza, il suo animo cominciò a sciogliersi.
Il Puddu  accorse in suo aiuto: ‘Perché non effettuare all’esterno un nutrito lancio di “viveri di conforto”, quegli stessi che per le solite ragioni d’economia non erano mai stati distribuiti?’
L’ufficiale guardò con malcelata ammirazione il collaboratore (che avesse ambizioni da ufficiale?);  certo, il sacrificio era grande e contro la sua stessa natura, ma valeva la pena di tentare: divide et impera!
Quali novelli David, i vivandieri presero a fiondare biscotti salati, bustine di cordiale, marmellate e, perfino, le famose tavolette di cioccolata, misconosciuto oggetto del desiderio d’ogni soldato di leva ed il cui dono alle loro donzelle fa tanto “americano”.
L’azione allentò d’un poco la pressione, ché avendo lo spirito d’Arpagone preso il sopravvento sull’istinto di conservazione,  all’inopportuno cessare degli invii, tosto riprese più veemente.

Ormai non rimaneva che il telefono.
Don Gavino, il cappellano, accorse al grido d’aita e, date le circostanze pensò subito ad un bel sermone, magari sul digiuno dei santi, ma di fronte alla grinta degli assalitori cambiò rapidamente idea. Così si sovvenne che attraverso il casotto delle caldaie era possibile raggiungere le cucine, non visto, cosa che fece comparendo come per miracolo (naturalmente, dato il suo mestiere) di fronte ad un ormai allucinato capitano.
- Dobbiamo salvare i prosciutti, i salami ...
- Ma quali prosciutti, pensa alla pelle...  - lo redarguì il sant’uomo mentre dall’involucro che stringeva sottobraccio traeva una tonaca.
Poco dopo i cavalleggeri che incrociavano nei dintorni in pattuglia di sicurezza, scorgendo due preti affrettarsi verso il comando di reggimento, riconobbero il fuggitivo e diedero l’allarme.

A questo punto fu sfatato il mito che addita il bersagliere come il soldato più veloce dell’esercito italiano: nulla, infatti, i neropiumati poterono quel giorno per acciuffare l’ufficiale della sussistenza che, con gagliardia insospettata, distaccò gli inseguitori.
A memoria di tanta prestazione sportiva sul luogo fu eretta in seguito una stele con inciso il mai purtroppo omologato record mondiale: 300 metri in salita in 28” esatti.
Riparato nell’ufficio del comandante di reggimento, all’ombra rassicurante della bandiera, il capitano impetrò il deciso intervento del colonnello, il quale tuttavia al suo arrivo a refettorio, trovò che tutto era finito, bersaglieri e cavalleggeri mangiavano a sazietà senza creare ulteriori problemi. Poiché era accaduto che i due sottufficiali, alla vista del superiore ignominiosamente fuggito, avevano fraternizzato col nemico aprendo loro le porte.

La storia Roccomaria la concludeva così, soddisfatto della sua erudita eloquenza e della sua sfrenata fantasia che aveva dato corpo alle ombre, nonché dell’attenzione che sapeva catturare dagli astanti, che come sempre, anche stavolta erano rimasti appesi alle sue labbra.
Tuttavia quel disincanto che mi deriva dalla trentennale frequenza militare, nonché  dalla più matura rivisitazione delle sue storie, m’induce ad ipotizzare la verità dei fatti come segue: cavalleggeri e bersaglieri di ritorno dal poligono, scoprono che qualcuno ha dimenticato di avvertire del loro ritardo in addestramento e trovano il refettorio chiuso.
Segue uno scarica barile di colpe fra i vari gestori e responsabili, che alla fine convengono su un unico incontestabile dato  fatto: ad ogni modo i soldati devono mangiare. E così fu.
Ma per Roccomaria la realtà aveva un valore puramente accidentale e le cose le vedeva e le raccontava a modo suo.

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