Rientrato Roccomaria
da un noto Centro d’addestramento d’oltremare, ove periodicamente tutti
s’andava per esercitazioni, mostrò d’aver rimpinguato il carniere di storie
che, da lui elaborate, costituivano motivo di piacevole intrattenimento, magari
davanti al fuoco scoppiettante nel vecchio camino di sassi di fiume del Circolo
ufficiali.
- Dovete sapere,
amici miei, che in questi quaranta giorni ne ho viste di tutti i colori, ma la
più incredibile è, certamente, quella che è successa un giorno al
vettovagliamento.
Si, caro Pino, proprio al vettovagliamento.
Ti ricordi del capitano Cornetta? Si quello di sussistenza che fa l’ufficiale
al vettovagliamento.
Ebbene, dovete sapere che questi aveva
attuato un piano perfetto per fare bella figura coi superiori del suo Corpo :
con la metà delle razioni dava da mangiare al doppio della forza, realizzando
quelle economie di bilancio tanto care ai nostri Servizi, a partire proprio
dalla Sussistenza.
Un giorno, tuttavia, mal gli e ne incolse.
Precedentemente c’era stato l’ormai solito
incidente che, quotidianamente e puntualmente si verificava appena 20 minuti
dopo l’apertura del refettorio: i soldati ultimi del turno avevano appreso che
tutto era finito.
Alle loro proteste, s’era presentata la
rotonda figura dell’ufficiale predetto il quale, dall’alto del suo grado aveva
iniziato a rintuzzare le contestazioni:
- a te ti ho visto entrare prima, credete
d’esser furbi a fare il doppio giro, ‘cca nisciuno é fesso!”
Al povero
ufficiale di servizio, invece, era stata riservata la classica minaccia:
“... se insiste la schiaffo dentro come un fuso!”
Così ai malcapitati non era restato che il
ricorso al panino dello spaccio.
Ma non s’erano ancora allontanati del tutto
quelli che, preceduti dalle note della solita “bella gigogì”, ecco arrivare al
passo di corsa un’intera compagnia di bersaglieri impolverati ed affamati,
reduci dall’inseguimento in poligono dei soliti carri armati che, come vuole la
prassi, all’approssimarsi d’un bersagliere sembrano mettere le ali ai cingoli,
in una sorta di sfida “a chi arriva primo” sulla linea degli obiettivi.
Il capitano Cornetta subodorò subito il pericolo:
nessuna minaccia avrebbe fermato quell’orda famelica, sicché diede ordine di
sbarrare le vie d’accesso a refettorio, cucine e magazzini, chiudendo quelle
porte che lui stesso, con prudente preveggenza, aveva voluto robuste e
rigorosamente in ferro.
I bersaglieri fragorosamente s’arrestarono
col rituale sbattimento d’anfibi sull’asfalto che, alle orecchie del
preoccupato Cornetta, suonò come un’incombente minaccia fisica, e pazientemente
- si fa per dire - si posero ad aspettare.
‘Vana è l’attesa di chi spera nella giusta
ricompensa, quando questa è nelle mani d’un carrierista affamatore'.
Il mugugno montava col passare dei minuti
finché, edotti sulla situazione da uno sparuto e, come loro, affamato plotone
di cavalleggeri che dal primo mattino s’erano colà spinti in esplorazione
tattica, avevano accertato la “natura” della posizione e, come vuole la
libretta, l’atteggiamento del nemico, ordirono un elaborato, quanto efficace,
piano d’attacco.
Il Corpo dei bersaglieri, come tutti sanno,
è formato da truppe scelte addestrate all’attacco frontale e questo, in
sintesi, fu il piano: abbattimento delle porte, prosecuzione dello sforzo in
profondità (magazzini viveri), sfruttamento del successo con l’ausilio della
cavalleria, ovverosia distribuzione totale
dei viveri fino al completo esaurimento delle scorte.
Ma il Cornetta, che vedeva tosto minacciati
anni di sacrifici e con essi la sospirata fulgida carriera che avrebbe dovuto
condurlo ad imperare su megagalattici magazzini viveri pieni d’ogni ben di dio,
non si perse d’animo e, radunate le sue truppe (cucinieri, lavapiatti,
refettoristi e magazzinieri d’ogni sorta ed estrazione), e postele agli ordini
dei i suoi scherani di fiducia, i marescialli Puddu e De Muras, diede loro
consegna di respingere gli assalitori e di battersi ad oltranza.
Lo scontro fu incredibilmente duro: ai
bersaglieri che s’attaccavano alle grate di protezione con le nude mani ed i
denti, s’opponevano gli assediati a colpi di mestoli e ramaioli su nocche e
gengive; ai cavalleggeri che con manovra avvolgente s’erano presentati sul
fianco nel tentativo di svellere gli infissi, s’erano riversati addosso fiumi
di lurida schiuma proveniente dalle lavastoviglie, prosciugate per la bisogna.
Gli attaccanti reiteravano gli assalti con
stoica furia e lancio d’ogni sorta d’oggetti, intercettati con incredibile
destrezza coi coperchi delle pentole ed i tegami, usati a mo’ di racchetta da
tennis.
All’oscillar pericoloso di quelle novelle
Porte Scee, nelle quali il capo degli assediati aveva fondato tutta la propria
sicurezza, il suo animo cominciò a sciogliersi.
Il Puddu
accorse in suo aiuto: ‘Perché non effettuare all’esterno un nutrito
lancio di “viveri di conforto”, quegli stessi che per le solite ragioni
d’economia non erano mai stati distribuiti?’
L’ufficiale guardò con malcelata
ammirazione il collaboratore (che avesse ambizioni da ufficiale?); certo, il sacrificio era grande e contro la
sua stessa natura, ma valeva la pena di tentare: divide et impera!
Quali novelli David, i vivandieri presero a
fiondare biscotti salati, bustine di cordiale, marmellate e, perfino, le famose
tavolette di cioccolata, misconosciuto oggetto del desiderio d’ogni soldato di
leva ed il cui dono alle loro donzelle fa tanto “americano”.
L’azione allentò d’un poco la pressione,
ché avendo lo spirito d’Arpagone preso il sopravvento sull’istinto di
conservazione, all’inopportuno cessare
degli invii, tosto riprese più veemente.
Ormai non rimaneva che il telefono.
Don Gavino, il cappellano, accorse al grido
d’aita e, date le circostanze pensò subito ad un bel sermone, magari sul
digiuno dei santi, ma di fronte alla grinta degli assalitori cambiò rapidamente
idea. Così si sovvenne che attraverso il casotto delle caldaie era possibile
raggiungere le cucine, non visto, cosa che fece comparendo come per miracolo
(naturalmente, dato il suo mestiere) di fronte ad un ormai allucinato capitano.
- Dobbiamo salvare i prosciutti, i salami
...
- Ma quali prosciutti, pensa alla
pelle... - lo redarguì il sant’uomo
mentre dall’involucro che stringeva sottobraccio traeva una tonaca.
Poco dopo i cavalleggeri che incrociavano
nei dintorni in pattuglia di sicurezza, scorgendo due preti affrettarsi verso
il comando di reggimento, riconobbero il fuggitivo e diedero l’allarme.
A questo punto fu sfatato il mito che
addita il bersagliere come il soldato più veloce dell’esercito italiano: nulla,
infatti, i neropiumati poterono quel giorno per acciuffare l’ufficiale della
sussistenza che, con gagliardia insospettata, distaccò gli inseguitori.
A memoria di tanta prestazione sportiva sul
luogo fu eretta in seguito una stele con inciso il mai purtroppo omologato
record mondiale: 300 metri
in salita in 28”
esatti.
Riparato nell’ufficio del comandante di
reggimento, all’ombra rassicurante della bandiera, il capitano impetrò il
deciso intervento del colonnello, il quale tuttavia al suo arrivo a refettorio,
trovò che tutto era finito, bersaglieri e cavalleggeri mangiavano a sazietà senza
creare ulteriori problemi. Poiché era accaduto che i due sottufficiali, alla
vista del superiore ignominiosamente fuggito, avevano fraternizzato col nemico
aprendo loro le porte.
La storia Roccomaria
la concludeva così, soddisfatto della sua erudita eloquenza e della sua
sfrenata fantasia che aveva dato corpo alle ombre, nonché dell’attenzione che
sapeva catturare dagli astanti, che come sempre, anche stavolta erano rimasti
appesi alle sue labbra.
Tuttavia quel
disincanto che mi deriva dalla trentennale frequenza militare, nonché dalla più matura rivisitazione delle sue
storie, m’induce ad ipotizzare la verità dei fatti come segue: cavalleggeri e
bersaglieri di ritorno dal poligono, scoprono che qualcuno ha dimenticato di
avvertire del loro ritardo in addestramento e trovano il refettorio chiuso.
Segue uno scarica
barile di colpe fra i vari gestori e responsabili, che alla fine convengono su
un unico incontestabile dato fatto: ad
ogni modo i soldati devono mangiare. E così fu.
Ma per Roccomaria la
realtà aveva un valore puramente accidentale e le cose le vedeva e le
raccontava a modo suo.
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