Quante volte un visitatore nel
percorrere i lunghi interminabili viali della nostra guarnigione avrà visto una
bici arrancare e magari chiesto: "Chi é quella vecchietta?" per
sentirsi rispondere: "E' mamma Cecchina", risposta naturale e conclusiva
perché era logico che tutti conoscessero quella donna ed il tono della risposta
non lasciava spazio a repliche.
Personaggi importanti , famosi
per la loro pignoleria, non avevano avuto niente da ridire davanti a tanta
sicurezza, anzi avevano assentito come si fa quando si vuol dare ad intendere
di saperla lunga su un argomento invece perfettamente sconosciuto.
Ma chi é, anzi chi era in effetti
" Mamma Cecchina "?
Francesca Picco, detta
"Mamma Cecchina" da quanti la conoscevano e le volevano bene, conduceva
una vita oscura, limitata all'ambiente del suo paese di mille anime.
Nata nel 1914, a tre anni era rimasta
orfana di entrambi i genitori, sola e bisognosa di tutto, sulle prime era stata
accolta dai nonni, quindi dagli zii, finché l’orfanotrofio non era diventata la
sua casa. Adolescente era andata a servizio in città ma, scoppiata la guerra,
rientrava al paese natale trovando lavoro nei capannoni colà diradati della
Fiat, gli stessi che poco dopo sarebbero stati trasformati in caserme. Finita
la guerra, mentre la Fiat
tornava a Torino, lei diventava la portalettere del locale ufficio postale.
Piccola, minuta, d’animo mite e
religiosissima, ancora sola al mondo e bisognosa di tutto, il borsone della
posta a tracolla e la sua bici la conducevano per ogni dove finché, impietosita
dalle miserrime condizioni della guarnigione militare e degli uomini colà
operanti, sceglieva di star vicina ai militari del presidio che, così, cominciarono
a chiamarla "Mamma Cecchina".
Ben vista dai Comandanti che ne
incoraggiavano tacitamente la presenza, in un posto ove perfino il cappellano
trovava pesante l’essere presente, ella portava ai nostri ragazzi, insieme con parole di fede, giornali
cristiani e coroncine del rosario, piccoli doni utili quali fasciacolli, calze e
guanti di lana ed altro ancora, in ciò investendo fino all’ultimo soldo del suo
misero stipendio. Né ufficiali e sottufficiali rimanevano esclusi dal suo beneficare
ché, verso questi e le loro famiglie, Mamma Cecchina poneva in atto pari
attenzioni, toccandone il cuore nello stesso modo che con i soldati di leva.
Di quali manifestazioni d’affetto
fosse ricambiata è impossibile descriverlo, mi piace - tuttavia - ricordare
quella volta che un Colonnello, sul punto di lasciare il comando, volle riuniti
i cavalleggeri d’ogni ordine e grado per appuntarle sul petto l’aquila d’oro,
simbolo del reggimento. Un altro, anni dopo, trovò naturale inviarla a proprie
spese al pellegrinaggio militare di Lourdes.
Passavano così gli anni, i
Comandanti ed i soldati, ma sentimenti e volti erano sempre gli stessi, tutti
salvo uno, quello della Cecchina che si riempiva viepiù di rughe profonde sotto
lo sforzo del pedalare per gli interminabili viali. Finché un giorno qualcuno
ebbe a notarne l’assenza.
I cavalleggeri seguirono
trepidanti il decorso di quel brutto male che per lungo tempo l'inchiodava in
un letto d'ospedale e la sua morte, attesa e paventata da tutti, sparse ugualmente
lo sconforto.
Non fiori, aveva detto poco prima
di spirare. Chiedeva solo il Tricolore, ed i cavalleggeri in alta uniforme
l'hanno issata sulle spalle, scortandola all'ultima dimora come fosse stata uno
di loro; e al seguito della minuta bara, ancor più piccola sotto l’immenso drappo,
c'era gran parte di quell’umanità che lei aveva beneficato.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per il tuo commento che sarà pubblicato quanto prima.