giovedì 28 giugno 2012

Scherzi di Calotta


Nella tradizione della Calotta c’erano gli scherzi agli ufficiali nuovi assegnati.
Quando questi giungevano, belli nella loro divisa nuova fiammante di ufficialetti di cavalleria, sapevano già di dover pagare lo scotto del neofita e, nonostante la crisi degli anni settanta, nel Reggimento questi continuarono a togliere il sonno ai subalterni: gli anziani ad inventare sempre qualcosa di nuovo che non fosse stato già oggetto di preventiva istruzione nelle scuole di provenienza, i pivelli per il terrore dell’incognito.

Roccomaria, già per conto suo, aveva visto e fatto di tutto, ma la banda dei suoi consiglieri (Willy, Pino, Pesce, ecc...) aveva una fantasia sfrenata, al cui confronto il mitico Verne sarebbe arrossito di vergogna.
Gli scherzi si facevano anche fuori dalla guarnigione.

Dovete sapere a proposito che uno degli ufficiali del reggimento - il capitano  Tantillo - era oltremodo superstizioso.
Questi si faceva fare le carte dalla moglie che, più per l’aspetto fisico che per le vantate capacità, godeva di una non immeritata fama di fattucchiera. Né si separava mai dal suo portafortuna: uno strano oggetto rosso mezzo gobbo  e mezzo corno.
Sul radiatore della propria automobile, poi, esibiva un enorme ferro di cavallo; praticava con la più cosciente convinzione “grattamenti d’attributi” nell’incrociare gatti neri o carri funebri, mentre cambiava marciapiedi alla sola vista d’una scala a pioli.

Sta di fatto che, una domenica di buonora, i due subalterni giunti solo il precedente venerdì sera si videro recapitare in baracca un ordine a mano, a firma dell’Aiutante Maggiore in IV, che li comandava - in rappresentanza del reggimento - alla veglia funebre per l’immatura scomparsa del ...signor capitano Tantillo.
I due indossarono l’uniforme ordinaria e, presa l’aria di circostanza, si presentarono alle 10 in punto presso gli alloggi demaniali.
Ottenuto di vedere la signora, le fecero le più sentite condoglianze, aggiungendo con impegno pure del proprio, per far fare bella figura al Comandante ed al reggimento.
In quello tornava dalla Messa domenicale il padrone di casa.
Lascio alla fantasia di chi legge il seguito; aggiungo però che - superati i malori ed i mancamenti da entrambi le parti - la cosa finì sul tavolo di un oltremodo divertito Comandante di Divisione, chiamato dalla vittima a dirimere un “fatto disciplinare”  che nessuno dei superiori gerarchici, a detta del Tantillo, aveva preso nella giusta considerazione.

Proprio in quell’Alto Comando esisteva un ufficiale superiore che - guarda caso - si chiamava “Cavalcaselle” ma che, a dispetto del nome, era un geniere.
Poiché dentro la guarnigione passava una linea ferrata, era d’uopo che qualcuno la sorvegliasse: di giorno bastavano i militari di truppa, ma di notte - era anche l’epoca dei “brigatisti” - ci voleva una “guardia ufficiali”.
Così almeno era stato spiegato al malcapitato subalterno giunto quel pomeriggio dopo un allucinante viaggio in treno da Porto Empedocle.

Così, senza quasi sapere come, il disgraziato - a mezzanotte - si trovò nel bosco più fitto, a ridosso della predetta strada ferrata, seduto su uno sgabello dietro un tavolino pieghevole sul quale faceva bella mostra un registro delle novità, armato di moschetto ‘91 (delle uniformi storiche) e munizionamento (da introdurre solo alla bisogna) prudentemente per un tipo di fucile diverso.
Completava la dotazione un telefono da campo (di quelli a manovella, per intenderci) che avrebbe dovuto collegarlo all’ufficiale di servizio al Comando di Divisione, cioè a quel Cavalcaselle di cui sopra, al quale bisognava riferire ogni mezz’ora.
Ed in verità era stato proprio quel nome ad insospettire l’astuto  subalterno siciliano, allorché a mezzanotte aveva provato a chiamare fino a slogarsi il polso:
- Vuoi vedere che ‘sti figghi  di b..., m’hanno fregato?
Non passavano dieci minuti però, che nella barragia esplodeva uno squillo diabolicamente stridulo:
- Sono il colonnello Cavalcaselle. Vorrei sapere come mai non mi ha dato le novità!
- Mi scusi, signor Colonnello, io ho chiamato, ma nessuno rispondeva.
- Non si scusi, è segno di debolezza! E soprattutto non dica menzogne. Lei dormiva. Vergogna! Un ufficiale! Coi tempi che corrono... .
- Ma, signor Colonnello...
Quello però aveva riattaccato.
- Maria! Male si mette...

La notte ora appariva più scura; faceva anche freddo.
Ad un tratto il rumore d’un animale notturno in mezzo al bosco, lo fece trasalire:
- Alto là! Chi va là?
Ma come è noto, gli animali se ne fregano delle intimazioni.
E non rispondeva neanche il Comando Divisione.
Era passata da una vita l’una di notte ed ormai anche il polso sinistro del subalterno era diventato insensibile a furia di girare la maledetta manovella.
Alla fine, esausto, appoggiò la testa sulle braccia:
- Basta!
Ma la parola gli morì in gola: lo squillo del telefono gli aveva trapassato coi timpani, il cuore, rimbombando per i trecento ettari della guarnigione:
- Tenente, sono il colonnello Cavalcaselle. Mi adopererò perché venga rimosso dal grado.
Al giovane, però, mancavano le forze per reagire ed un attimo prima di svenire, mugolò un fievole:
- Signorsì... .

Neanche mezz’ora dopo era in un caldo letto dell’infermeria, in preda ad un sonno agitato nel quale continuava a ripetere:
- Signorsì, signor colonnello. E’ giusto, signor colonnello...
Roccomaria, ai piedi del letto, rivolto a Pino Sussurrante, sentenziò:
- Lo chiameremo: Aquila accondiscendente.

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