Nella tradizione
della Calotta c’erano gli scherzi agli ufficiali nuovi assegnati.
Quando questi
giungevano, belli nella loro divisa nuova fiammante di ufficialetti di
cavalleria, sapevano già di dover pagare lo scotto del neofita e, nonostante la
crisi degli anni settanta, nel Reggimento questi continuarono a togliere il
sonno ai subalterni: gli anziani ad inventare sempre qualcosa di nuovo che non
fosse stato già oggetto di preventiva istruzione nelle scuole di provenienza, i
pivelli per il terrore dell’incognito.
Roccomaria, già per
conto suo, aveva visto e fatto di tutto, ma la banda dei suoi consiglieri
(Willy, Pino, Pesce, ecc...) aveva una fantasia sfrenata, al cui confronto il
mitico Verne sarebbe arrossito di vergogna.
Gli scherzi si
facevano anche fuori dalla guarnigione.
Dovete sapere a
proposito che uno degli ufficiali del reggimento - il capitano Tantillo - era oltremodo superstizioso.
Questi si faceva fare
le carte dalla moglie che, più per l’aspetto fisico che per le vantate
capacità, godeva di una non immeritata fama di fattucchiera. Né si separava mai
dal suo portafortuna: uno strano oggetto rosso mezzo gobbo e mezzo corno.
Sul radiatore della
propria automobile, poi, esibiva un enorme ferro di cavallo; praticava
con la più cosciente convinzione “grattamenti d’attributi” nell’incrociare
gatti neri o carri funebri, mentre cambiava marciapiedi alla sola vista d’una
scala a pioli.
Sta di fatto che, una
domenica di buonora, i due subalterni giunti solo il precedente venerdì sera si
videro recapitare in baracca un ordine a mano, a firma dell’Aiutante
Maggiore in IV, che li comandava - in rappresentanza del reggimento - alla
veglia funebre per l’immatura scomparsa del ...signor capitano Tantillo.
I due indossarono
l’uniforme ordinaria e, presa l’aria di circostanza, si presentarono alle 10 in punto presso gli
alloggi demaniali.
Ottenuto di vedere la
signora, le fecero le più sentite condoglianze, aggiungendo con impegno pure
del proprio, per far fare bella figura al Comandante ed al reggimento.
In quello tornava
dalla Messa domenicale il padrone di casa.
Lascio alla fantasia
di chi legge il seguito; aggiungo però che - superati i malori ed i mancamenti
da entrambi le parti - la cosa finì sul tavolo di un oltremodo divertito
Comandante di Divisione, chiamato dalla vittima a dirimere un “fatto
disciplinare” che nessuno dei superiori
gerarchici, a detta del Tantillo, aveva preso nella giusta considerazione.
Proprio in quell’Alto
Comando esisteva un ufficiale superiore che - guarda caso - si chiamava
“Cavalcaselle” ma che, a dispetto del nome, era un geniere.
Poiché dentro la
guarnigione passava una linea ferrata, era d’uopo che qualcuno la sorvegliasse:
di giorno bastavano i militari di truppa, ma di notte - era anche l’epoca dei
“brigatisti” - ci voleva una “guardia ufficiali”.
Così almeno era stato
spiegato al malcapitato subalterno giunto quel pomeriggio dopo un allucinante
viaggio in treno da Porto Empedocle.
Così, senza quasi
sapere come, il disgraziato - a mezzanotte - si trovò nel bosco più fitto, a
ridosso della predetta strada ferrata, seduto su uno sgabello dietro un
tavolino pieghevole sul quale faceva bella mostra un registro delle novità,
armato di moschetto ‘91 (delle uniformi storiche) e munizionamento (da
introdurre solo alla bisogna) prudentemente per un tipo di fucile diverso.
Completava la
dotazione un telefono da campo (di quelli a manovella, per intenderci) che
avrebbe dovuto collegarlo all’ufficiale di servizio al Comando di Divisione,
cioè a quel Cavalcaselle di cui sopra, al quale bisognava riferire ogni
mezz’ora.
Ed in verità era
stato proprio quel nome ad insospettire l’astuto subalterno siciliano, allorché a mezzanotte
aveva provato a chiamare fino a slogarsi il polso:
- Vuoi vedere che ‘sti figghi di b..., m’hanno fregato?
Non passavano dieci
minuti però, che nella barragia esplodeva uno squillo diabolicamente stridulo:
- Sono il colonnello Cavalcaselle. Vorrei
sapere come mai non mi ha dato le novità!
- Mi scusi, signor Colonnello, io ho chiamato,
ma nessuno rispondeva.
- Non si scusi, è segno di debolezza! E
soprattutto non dica menzogne. Lei dormiva. Vergogna! Un ufficiale! Coi tempi
che corrono... .
- Ma, signor Colonnello...
Quello però aveva
riattaccato.
- Maria! Male si mette...
La notte ora appariva
più scura; faceva anche freddo.
Ad un tratto il
rumore d’un animale notturno in mezzo al bosco, lo fece trasalire:
- Alto là! Chi va là?
Ma come è noto, gli
animali se ne fregano delle intimazioni.
E non rispondeva
neanche il Comando Divisione.
Era passata da una
vita l’una di notte ed ormai anche il polso sinistro del subalterno era
diventato insensibile a furia di girare la maledetta manovella.
Alla fine, esausto,
appoggiò la testa sulle braccia:
- Basta!
Ma la parola gli morì
in gola: lo squillo del telefono gli aveva trapassato coi timpani, il cuore,
rimbombando per i trecento ettari della guarnigione:
- Tenente, sono il
colonnello Cavalcaselle. Mi adopererò perché venga rimosso dal grado.
Al giovane, però, mancavano le forze per
reagire ed un attimo prima di svenire, mugolò un fievole:
- Signorsì... .
Neanche mezz’ora dopo
era in un caldo letto dell’infermeria, in preda ad un sonno agitato nel quale
continuava a ripetere:
- Signorsì, signor colonnello. E’ giusto,
signor colonnello...
Roccomaria, ai piedi
del letto, rivolto a Pino Sussurrante, sentenziò:
- Lo
chiameremo: Aquila accondiscendente.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per il tuo commento che sarà pubblicato quanto prima.