mercoledì 27 giugno 2012

Una domenica mattina

Willycow e Roccomaria quella domenica avevano appuntamento con Pesce e Pino per un aperitivo al bar sotto i portici al centro del paese, sicché nella tarda mattinata s’erano avviati a piedi, godendosi strada facendo una delle prime giornate di sole di quell’anno.
Roccomaria era di buon umore: aveva dormito fino a tardi e bene, Willycow non gli aveva combinato nessun casino ed uscendo di casa non s’era imbattuto nella signora Adelina.

La domenica prometteva bene e già la fantasia dell’omone si concentrava in cerca di qualcosa che potesse renderla più vivace.
I due svoltando a sinistra, giunsero sul corso principale quasi deserto come ogni domenica, in cui il borgo - sgombro dal traffico automobilistico e dall’operoso via vai quotidiano - sembrava ripiombare ai tempi andati della civiltà contadina, quando tutto era a dimensione d’uomo.
Il vecchio tabaccaio, lasciata la porta aperta della rivendita, si godeva anche lui il primo timido sole seduto davanti all’uscio, contro una colonna del pubblico porticato.
Roccomaria lo scorse da lontano e, benché fosse ad oltre cinquanta metri, tuonò:
- Chiunque di vedetta, sentinella o scolta abbandona il proprio posto, è punito con la reclusione militare fino a due anni.
Quindi, fattoglisi da presso, gli intimò:
- Lei, vada al suo posto!
Quello, intimorito, ubbidì portandosi dietro la sedia.
Gongolante per quella prima trovata  della giornata, l’ufficiale lo seguì, acquistò una stecca di sigarette, obbligò Willy a fare altrettanto e lasciò il tabaccaio soddisfatto del guadagno, a chiedersi cosa c’entrasse lui con quello che gli era stato minacciato: in ogni caso la sua età gli aveva insegnato che la prudenza non era mai troppa.
Nel frattempo i due, onde evitare precisazioni imbarazzanti, avevano rapidamente guadagnato la porta del bar che era adiacente alla rivendita dei monopoli.

Il locale, benché fosse obiettivamente uno dei più brutti ed angusti del paese, era anche ed inspiegabilmente, il più frequentato: più lungo che largo, basso di soffitto e con le pareti che annerite dal fumo di milioni di sigarette, apparivano abbisognevoli d’una urgente ed energica ritinteggiatura.
Roccomaria, guardandosi attorno, aveva scorto Pino e Pesce seduti in un angolo col bicchiere già in posizione, ma la sua attenzione era stata catturata da un altro avventore che stava appoggiato al bancone.
Lui, obeso all’inverosimile (130 chili), diventava incontenibile di fronte ai magri, ma non magri normali, bensì quelli che sfidano quotidianamente la sorte uscendo di casa, in balia come sono d’ogni minimo spostamento d’aria.
Sicché, la scoperta d’ uno di questi, scuro in volto, triste oltre ogni immaginazione e chiuso nei suoi pensieri, lo mosse ad avvicinarlo con fare gentile:
- Posso offrirle qualcosa?
L’uomo con lo sguardo fisso nel vuoto, scosse la testa.
- Magari un aperitivo, un cognacchino  o un wischino?
Quello fece ancora di no con la testa, ma Roccomaria non si dava per vinto:
- Facciamo un caffettino, un cappuccino, una brioche, una caramella, un lecca lecca?
Il magro sembrò uscire dal suo intimo smarrimento, volse lentamente la testa nella direzione dell’inopportuno, e con fievole voce alitò:
- No, grazie.
Roccomaria rimase a fissarlo preoccupato per qualche istante, poi il suo volto si illuminò, si frugò febbrilmente nelle tasche, quindi protese la destra verso quello:
- Che ne direbbe di questo?
Come fosse finito il becchime del canarino di Pino nei suoi pantaloni, fu argomento di lungo e serrato interrogatorio sulla strada verso la guarnigione.

Per una mattina di tiepida primavera, infatti, ce n’era abbastanza ed i quattro scapoli s’erano avviati alla volta circolo ove, sia pur con gli argenti della elegantissima mensa, sarebbe stato loro servito un frugale pranzo, confortato da un domenicale e pretenzioso gelato preconfezionato sulla macedonia di frutta, sicuro recupero di quella avanzata nel corso della settimana.

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