Willycow e Roccomaria
quella domenica avevano appuntamento con Pesce e Pino per un aperitivo al bar
sotto i portici al centro del paese, sicché nella tarda mattinata s’erano
avviati a piedi, godendosi strada facendo una delle prime giornate di sole di
quell’anno.
Roccomaria era di
buon umore: aveva dormito fino a tardi e bene, Willycow non gli aveva combinato
nessun casino ed uscendo di casa non s’era imbattuto nella signora Adelina.
La domenica
prometteva bene e già la fantasia dell’omone si concentrava in cerca di
qualcosa che potesse renderla più vivace.
I due svoltando a
sinistra, giunsero sul corso principale quasi deserto come ogni domenica, in
cui il borgo - sgombro dal traffico automobilistico e dall’operoso via vai
quotidiano - sembrava ripiombare ai tempi andati della civiltà contadina,
quando tutto era a dimensione d’uomo.
Il vecchio tabaccaio,
lasciata la porta aperta della rivendita, si godeva anche lui il primo timido
sole seduto davanti all’uscio, contro una colonna del pubblico porticato.
Roccomaria lo scorse
da lontano e, benché fosse ad oltre cinquanta metri, tuonò:
- Chiunque di
vedetta, sentinella o scolta abbandona il proprio posto, è punito con la reclusione
militare fino a due anni.
Quindi, fattoglisi da
presso, gli intimò:
- Lei, vada al suo
posto!
Quello, intimorito,
ubbidì portandosi dietro la sedia.
Gongolante per quella
prima trovata della giornata,
l’ufficiale lo seguì, acquistò una stecca di sigarette, obbligò Willy a fare
altrettanto e lasciò il tabaccaio soddisfatto del guadagno, a chiedersi cosa
c’entrasse lui con quello che gli era stato minacciato: in ogni caso la sua età
gli aveva insegnato che la prudenza non era mai troppa.
Nel frattempo i due,
onde evitare precisazioni imbarazzanti, avevano rapidamente guadagnato la porta
del bar che era adiacente alla rivendita dei monopoli.
Il locale, benché
fosse obiettivamente uno dei più brutti ed angusti del paese, era anche ed
inspiegabilmente, il più frequentato: più lungo che largo, basso di soffitto e
con le pareti che annerite dal fumo di milioni di sigarette, apparivano
abbisognevoli d’una urgente ed energica ritinteggiatura.
Roccomaria,
guardandosi attorno, aveva scorto Pino e Pesce seduti in un angolo col
bicchiere già in posizione, ma la sua attenzione era stata catturata da un
altro avventore che stava appoggiato al bancone.
Lui, obeso
all’inverosimile (130 chili), diventava incontenibile di fronte ai magri, ma
non magri normali, bensì quelli che sfidano quotidianamente la sorte uscendo di
casa, in balia come sono d’ogni minimo spostamento d’aria.
Sicché, la scoperta
d’ uno di questi, scuro in volto, triste oltre ogni immaginazione e chiuso nei
suoi pensieri, lo mosse ad avvicinarlo con fare gentile:
- Posso offrirle
qualcosa?
L’uomo con lo sguardo
fisso nel vuoto, scosse la testa.
- Magari un
aperitivo, un cognacchino o un wischino?
Quello fece ancora di
no con la testa, ma Roccomaria non si dava per vinto:
- Facciamo un
caffettino, un cappuccino, una brioche, una caramella, un lecca lecca?
Il magro sembrò
uscire dal suo intimo smarrimento, volse lentamente la testa nella direzione
dell’inopportuno, e con fievole voce alitò:
- No, grazie.
Roccomaria rimase a fissarlo
preoccupato per qualche istante, poi il suo volto si illuminò, si frugò
febbrilmente nelle tasche, quindi protese la destra verso quello:
- Che ne direbbe di
questo?
Come fosse finito il
becchime del canarino di Pino nei suoi pantaloni, fu argomento di lungo e
serrato interrogatorio sulla strada verso la guarnigione.
Per una mattina di tiepida primavera, infatti, ce
n’era abbastanza ed i quattro scapoli s’erano avviati alla volta circolo ove,
sia pur con gli argenti della elegantissima mensa, sarebbe stato loro servito
un frugale pranzo, confortato da un domenicale e pretenzioso gelato
preconfezionato sulla macedonia di frutta, sicuro recupero di quella avanzata
nel corso della settimana.
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