mercoledì 27 giugno 2012

Via San Martino



Nel cuore del borgo antico, vestigia di passate glorie, s’ergevano ordinate e  pretenziose case che avevano visto tempi migliori.
In essi avevano abitato e vivevano per lo più i vecchi della Comunità, ovverosia i discendenti dei contadini deportati dalle milizie vescovili in quelle umide contrade, rese da loro fertili nonostante il clima, e ricche a dispetto della esibita precarietà nella quale si ostinavano ancor oggi  a vivere.
In tempi più recenti molti di loro s’erano trasferiti in case più nuove e confortevoli, lasciando posto a quegli immigrati che numerosi ormai giungevano dal sud, portando con loro la nuova precarietà d’una speranza tutta da verificare.

Roccomaria, bisognoso d’un alloggio che lo affrancasse dalla baracca militare, unico confort messo a disposizione in guarnigione per gli scapoli, era giunto in via San Martino chissà come ed aveva preso un appartamentino di due stanze, soggiorno e servizi in un fabbricato che, ad esser sinceri, presentava meglio fuori che dentro.
Entusiasta come un bambino, aveva offerto a Willycow di condividere appartamento e spese, ponendo le premesse ad una leggenda, quella de “i nuovi ufficiali di cavalleria venuti ad abitare”, come presto ebbero ad indicarli i vicini.

Da un ampio portone che dava sul caratteristico cortile interno, comune a tutte le costruzioni d’epoca del villaggio, salivi su per una buia scala schiarita appena da una fatiscente lampadina stile anni cinquanta, fino all’inquietante ballatoio di legno sul quale si aprivano più porte per altrettante abitazioni.
Umidità, polvere diffusa, odore particolare ti davano il loro biglietto da visita, ma di tutto questo loro non interessava niente: assunsero una fantesca, la signora Cesira, perché rassettasse e liberasse l’abitazione dalla storica (e grigia) patina che la ricopriva uniformemente, comprarono “a credito” mobili ed arredi per i quali fu dura in seguito trovare il modo di farglieli pagare quindi, trionfalmente, presero possesso dell’alloggio festeggiando l’avvenimento con una cena di sedici portate alla quale parteciparono gli amici più intimi.
Col tempo si diedero l’assetto definitivo: i due avevano ciascuno la propria stanza, avendo tenuto in comune il  bagno ed il soggiorno ove si apprestavano le memorabili cene di Roccomaria alle quali Willycow si presentava sistematicamente a “scrocco”.
- Willy,  vada che mangi a sbafo, ma mi spieghi cosa usi al posto dello spazzolino da denti, visto che in bagno oltre al mio, c’è solo lo scopino del cesso?

Se in guarnigione Roccomaria aveva motivo di temere "Orecchio di Manitù", organicamente: l’Ufficiale addetto alle Informazioni, in via San Martino la sua vita era meticolosamente osservata dalla signora Adelina Tessens Odano, l'anziana vedova sua vicina di casa.
A questa, che abitava nel comune cortile, nulla sfuggiva di quanto accadeva nel raggio di almeno ottocento metri, men che mai nel "suo territorio", ove neanche le pur spesse pareti di quelle case antiche costituivano un obiettivo impedimento a quell'occhio penetrante ed al suo finissimo udito.
Muoveva con inciabattato passo felino, sporgendo il collo al di là dell'ostacolo inopportuno alla sua curiosità, ora viepiù eccitata dalla insperata, quanto inconsueta, presenza di ufficiali di cavalleria in quel grigio tugurio.
Nella di lei fantasia la loro venuta compensava le frustrazioni d'una vita che le circostanze l'avevano condannata a condividere con l'infima plebe proletaria. Lei che di nobili natali - come chiaramente denunciava il suo doppio cognome - e discendente da un'antica famiglia di ambasciatori, così millantava, sperava infine d’aver trovato con chi poter partecipare quell'elevatezza di sentimenti e gentilezza d'animo, che solo è patrimonio dei nobili rampolli di sacri lombi.

Incombeva su Roccomaria e Willycow con la greve puntualità d’una cambiale: allorché questi salivano le scale, per quanta attenzione ponessero nel non produrre rumori che denunciassero il loro arrivo, lei apriva la porta illuminando il ballatoio di quello sdentato sorriso che ormai popolava gli incubi onirici dei due disgraziati.
-    Tenente, le ho messo la bolletta della luce sotto la porta ...
-    Signora, la sua “non richiesta” premura m’è d’onere.
-    Grazie, tenente, com’è gentile lei! Ma l’onore è tutto mio...
-    Onere, Adelina, ho detto onere! - sbottava fra l’irritato ed il rassegnato Roccomaria.

E così sempre. Sistematicamente e senza alcun rimedio tutti gli artifizi posti in essere fallivano miseramente.
Perfino i tentativi di guadagnare la porta a piedi scalzi si rivelarono un disastro, ma quella volta a causa delle rumorose - quanto irripetibili - opinioni espresse da Roccomaria sugli effluvi emanati dalle calze di Willycow.

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